L’Europa a un Bivio (pubblicato nel Il Grandevetro)

 

 

Si dice che una grande crisi si generi quando il vecchio non si decide a morire mentre il nuovo non si decide ancora a nascere (Bertolt Brecht). La crisi politica sarebbe, in termini gramsciani, una sorta di interregnum, ovvero un territorio di mezzo in cui il vecchio sovrano non c’è più ed il nuovo sovrano non è stato ancora installato.

L’Unione Europea delle diverse crisi, quella del debito, quella dei migranti, quella del terrorismo internazionale, l’Unione della recente Brexit e della sfiorata Grexit, credo che calzi bene la definizione di interregnum di Gramsci e di grande crisi di Brecht. In questo territorio di mezzo c’è chi dice, ricalcando il grido dei federalisti americani, che l’Unione Europea si trovi davanti ad un bivio: o la federalizzazione o lo scioglimento.

Per quanto semplicistica la metafora del bivio possa apparire, la crisi ci costringe finalmente a guardare in faccia le contraddizioni che l’ordinamento politico europeo porta dentro di sé e, soprattutto, ci dà l’opportunità di riportare al centro dei discorsi pubblici nazionali, questioni di carattere fondativo e normativo sul futuro dell’Europa, questioni che, in una costruzione elitaria e burocratica dell’Unione, mancavano dalla scena da fin troppo tempo. In breve, se qualcosa di buono la crisi ha smosso è la riapertura di un dibattito pubblico sul futuro dell’Europa, chiamando in causa, attraverso i media nazionali, i cittadini europei. La crisi ripone al centro questioni, dunque, sostanziali: quale dovrebbe essere un modello di Unione desiderabile per noi cittadini europei? E che cosa ci insegna la crisi nell’esercizio di ri-immaginazione politica di questa nostra Europa?

Ma prima di considerare la crisi come possibilità per rifondare un’unione politica più forte su basi democratiche, tentiamo di leggerla da un punto di vista spietatamente realistico. In quest’ottica, le crisi europee farebbero senza dubbio pendere l’ago della bilancia dalla parte di una progressiva disgregazione dell’Unione politica.

Le massicce ondate migratorie verso l’Europa e la minaccia del terrorismo internazionale hanno rinvigorito i partiti della destra xenofoba e populista in gran parte dei paesi membri. Spinte a chiusure nazionalistiche stanno mettendo a dura prova una delle più grandi conquiste della storia d’Europa, ovvero l’abbattimento delle frontiere nazionali e il concetto stesso di libera circolazione delle persone all’interno dell’aerea Schengen. Alla costruzione fisica di muri veri e propri, si sono poi affiancate altre muraglie, quelle immaginarie, create dalla crisi del debito, che hanno diviso l’eurozona in due campi, dove ci stanno da una parte i paesi creditori e dall’altra quelli debitori, scissione che va a coincidere geograficamente con un sud Europa di paesi debitori, rappresentato come poco-virtuoso, e separato da un nord Europa virtuoso di paesi creditori. Si creano, dunque, fratture morali e fisiche, sfruttando gli egoismi e le paure dei popoli, e la recente Brexit non è che un esempio evidente di come i media nazionali abbiano abilmente giocato sulla paura dell’immigrazione nel referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea.

Insomma, un realismo cinico ci spingerebbe a dire che il progetto Europa non è forse mai stato cosi temuto e bocciato dai governi e dalle popolazioni europee.

Certo, per arrivare ad una difesa a favore del federalismo Europeo, occorre anche rivedere alcune delle critiche più sostanziali all’Europa attuale. Innanzitutto, con l’aggravarsi della crisi economica e della crisi dei debiti sovrani, quella che i teorici chiamano output legitimacy, ovvero una legittimazione della UE e delle sue politiche in virtù dei risultati positivi di tali politiche, viene a vacillare. E il problema del deficit democratico europeo, invece, si fa lampante. Il deficit democratico si manifesta, in particolar modo, nell’unione monetaria della crisi del debito sovrano, in quanto gli stati membri dell’Eurozona, seppur gravati dalla crisi debitoria, non possono più ricorrere a misure di salvaguardia dell’interesse nazionale come lo stampare moneta, creando inflazione e svalutando, di conseguenza, il peso del debito. Questo significa che i membri dell’eurozona hanno ceduto una grossa fetta di sovranità per quanto riguarda le politiche fiscali nazionali, senza ristabilire tale sovranità ad un livello Europeo.

La gestione dell’Euro richiede, dunque, la coordinazione di politiche fiscali a livello Europeo. Per questo occorrerebbe un ministero dell’economia europeo che definisca uno sviluppo economico omogeneo all’interno dell’ Unione con fini di convergenza del livello di vita dei cittadini europei, una banca centrale europea simile alla banca federale degli Stati Uniti, che possa emettere Eurobonds, favorendo la condivisione del debito a livello dell’Unione ecc. Una moneta Europea senza uno stato Europeo è da considerarsi un esperimento a dir poco problematico. Ed in assenza di un vero e proprio stato Europeo, assistiamo alla preoccupante avanzata del potere esecutivo della commissione al fine di tamponare le emergenze europee. Nell’unione, tale accentramento dei poteri da parte della commissione, viene vissuto come una grave ingerenza di una burocrazia sulle democrazie nazionali e non solo da parte degli euroscettici. In questo senso, la tipologia politica dell’eurozona attuale è stata definita dall’Europeista Habermas come federalismo esecutivo, ovvero una forma di aberrazione politico-burocratica in contrapposizione al modello auspicabile di una democrazia europea transnazionale.

Quale dovrebbe essere, dunque, un modello di Unione desiderabile per noi cittadini Europei?

Cerchiamo ora di leggere la crisi come una possibilità di ri-immaginazione del progetto Europa per i cittadini europei. Al posto di un federalismo esecutivo, della commissione, delle grandi banche, dei grandi paesi creditori, la crisi dovrebbe fungere da spinta per rifondare un’ Europa dal basso attraverso l’alleanza transnazionale di forze europeiste e progressiste. Negli ultimi anni, sono fioriti importanti movimenti europeisti e democratici dal basso, come il DiEM25 di Yanis Varoufakis, che si pone il fine di democratizzare lo spazio europeo. Essendo l’Europa formata, non da un singolo demos, ma da un insieme di demoi (popoli), la forma democratica più giusta per accomodare questa sua costituzione non potrebbe essere un super-stato, ma proprio un modello di democrazia federale che miri ad un equilibrio tra potere federale centrale e poteri nazionali.

Alla tentazione nazionalista di rifugiarsi invece nel recinto dello stato-nazione, rispondiamo che ciò che la crisi dimostra è che i grandi problemi come le migrazioni, il debito pubblico nell’eurozona, il terrorismo internazionale siano di natura transnazionale e che richiedano, per essere gestiti più efficacemente, di più Europa, soprattutto di più solidarietà europea. Per quanto riguarda il fenomeno delle migrazioni, la questione della solidarietà Europea è fondamentale. I paesi di primo approdo, come l’Italia, non possono gestire da soli l’afflusso, come prevedrebbe l’accordo di Dublino, mentre una redistribuzione a livello europeo, sarebbe necessaria oltre che moralmente giusta. La stessa cosa vale per la sicurezza, un esercito Europeo ed una coordinazione Europea delle forze di intelligence nazionali gioverebbe alla sicurezza dei popoli. Un’Europa federale garantirebbe una politica economica di redistribuzione delle risorse, e quindi farebbe da scudo protettivo contro le crisi dei debiti sovrani e garantirebbe uno sviluppo più armonico delle regioni. In sintesi, la solidarietà Europea, istituzionalizzata attraverso un federalismo transnazionale e democratico, fungerebbe da scudo per suoi paesi membri, anziché da onere per le sue parti.

Per concludere, se la crisi porta noi cittadini europei davanti a un bivio, sfruttiamo la crisi come occasione costruttiva per ripensarci insieme e non come una lunga marcia verso la disgregazione d’Europa!

 

La Ballata dei Dannati

 

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Mi chiamano Caronte
il barcaiolo,

occhi di fuoco
capo lanoso.

Erede d’un mestiere antico,
traghetto anime erranti
da una parte all’altra dei flutti.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Dannate anime,
per luogo di nascita non-scelto,
sull’orlo del mare, vi raccolgo.
La cecità del caso,
ignora giustizia.

Vi meno ciascuna,
dall’altra parte dei flutti.
Per un obolo sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

La speranza,
sta nella terra degli altri
al di là dei confini,
sta nella terra
di quelli già cittadini.

Il fiume, lo si deve guadare,
“Ma questo è mare”, dice Amal
e rabbiosa forza, e mortifera.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Si cerca Dio nella barca
Dov’è Dio?”, grida Iman.
Qui giustizia se la fanno gli uomini in carne,
se la strappano con l’unghia e coi bambini al collo,
se la vendono per il pane che non hanno.

Gli Dei sono fuggiti,
è un mondo errante
quello dei migranti senza oro.

E io li meno,
a piantar una bandiera a terra.

Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Mi chiamano Caronte,
sulla barca,
perché quest’Acheronte lo guado da sempre,
non l’ho mai lasciato,
non l’ho mai tradito.

Ho visto Speranza morire,
prima che l’occhio abbracciasse la riva.
Ho visto manciate di bocche ridere e spegnersi.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Le ho raccolte una ad una,
senza lapidi e senza fiori,
nel ventre del mare le ho gettate.

Una solitudine eterna mi condanna,
in questo intreccio senza fine.
Per mille lingotti sotto la lingua,
questa vita mi ha scelto.

Mi chiamano Caronte,
il traghettatore,
e questo pezzo di mare,
è il mio Stige.

 






Il Ratto del Mare

 

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Nell’ora-adesso,
tuffarsi
in quella pozza
salmastra

Il Mare.

Uno scirocco spesso
prostra le spine
al suolo

Si strappa il cielo
e come divinità rapace
un braccio d’oro
predone
penetra e rapisce
il Mare

Muore il sole,
è giunta l’ora del sonno
e le tonnare
iniziano
baccanti
la loro pesca rossa

Vento ingrato
che trascini
i tuoi figli alla mattanza

Mostraci il principio
di un’epoca nuova

Nel Vuoto del Giorno

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E d’improvviso
nel vuoto del giorno
calava il tremendo

sul Mare.

Le reti tiravano su uomini-pesci
l‘anima si bucava d’acqua
e la notte scendeva
nella gola del giorno

Con lama di coltello
trafissi l’occhio del buio
e feci sgorgare il sole a fiotti

Nel sudore della notte
bevvi la luce della luna
tra i rintocchi distanti di campana

Miseria è la vita umana!

Ode ai Mari del Sud

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Un vento spesso del sud
mi batte dentro l’ala
rauco ed aspro come il mare

Fischia nelle cavità
delle mie rocce
come in angusti colli di bottiglia

E riverbero intatta
di onde e di sale
nel giorno rosso di Sicilia

Sono della stessa sostanza del sole!

Si staccano
dalle mie braccia
ali di gabbiano

E con la falcata del purosangue
voliamo, tu ed io,
stretti per i sentieri di maggio
mano nella mano

Mare nostro
che c’incolli addosso
il suono pungente dell’aquila
il verde sporco delle agavi alte
il gusto ispido dei capperi selvatici

Quanto amore e quanta resistenza nei nostri passi sicuri!

Finché il dolce ricordo
di una terra lontana
ci cola e ci stringe il petto

Che sempre è di te gonfio
mio caro mare

Il Castello di Reti

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Antiche e profondissime
calavano di maggio
le muraglie del mare
tra Favignana e Levanzo

Con barche lunghe e piene di filo
scendevano i tonnaroti
il castello di reti,

saracinesche mute

Il tradimento dell’uomo che attende
è una rete di corda
che si tramanda antica
che si tesse paziente

Che si fa castello di reti
che si dipana di stanza in stanza
che si compie nel giorno del rito
della mattanza rossa

Le Muraglie del Mare

 

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Rulla
e si rovescia
l’onda sulle muraglie
del Mare

Distanti
le guardiamo cadere,
una dopo l’altra
e infrangersi

Il loro frastuono
mi rimbomba il ventre,
profondo
ci traghetta nel sogno

Dove sostiamo insieme
e per la mano
ai confini del mondo

Inutile
e ridicola
ci appare
la forza di un uomo
di fronte a questo mare

Le Muraglie Linguistiche: La Segregazione delle Lingue in Belgio

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Tu puoi parlare, tu puoi ascoltare, tu puoi intendere
la lingua dell’altro
ma rifiuti d’usarla

Tu capisci, tu comprendi, tu ascolti
la lingua del tuo vicino,
ma lingua madre
tua non è,
semmai,
lingua matrigna

Tu che scegli d’importare un idioma straniero,
di colonizzatori altri,
di altre genti, di altri territori,
pur di non usare la lingua del vicino
tuo di casa,

Allora dimmi:
è meno minacciosa questa lingua estranea
a te
perché più distante
da te?

Temi forse che colonizzi di meno
la tua identità,
perché sporcò di meno
la tua storia?

Perché non offese tua madre, tuo padre,
perché non fece chinare il capo ai tuoi fratelli?

Ma si,
certo,
è più facile rifiutare
l’alterità del tuo vicino
di banco-di scuola-
sul tram-sul treno

Rifiutare colui che infrange i tuoi recinti
con gentilezza
o con violenza,

rifiutare colui col quale le tue credenze
discordano
nella grammatica,
come nei principi

Mentre con l’altro a distanza
ti proclami caritatevole
perché l’alterità in astratto
è un principio nobile
condiviso da tutti

Tu dici più giusta
una lingua neutra
sbiadita per te

come per gli altri tuoi concittadini,

Ma tu dici anche:

Ogni lingua
è un organo
mio, tuo, nostro

Come il cristallino nell’occhio
che
il mondo
serve a decifrare

Ogni lingua
è per ciascuno
appartenenza
e dura lotta!

E allora:

Inizia a parlare, dire, sognare
con l’altro
nella sua lingua madre
e lui con te
nella tua

Mescola te stesso nell’altro
partendo dal suo idioma

Non recintarti in ghetti linguistici,
ma ascolta
con la lingua dell’altro
il tuo
stesso Pensiero

Urta e sfracassa
i maledetti confini!