La Ballata dei Dannati

 

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Mi chiamano Caronte
il barcaiolo,

occhi di fuoco
capo lanoso.

Erede d’un mestiere antico,
traghetto anime erranti
da una parte all’altra dei flutti.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Dannate anime,
per luogo di nascita non-scelto,
sull’orlo del mare, vi raccolgo.
La cecità del caso,
ignora giustizia.

Vi meno ciascuna,
dall’altra parte dei flutti.
Per un obolo sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

La speranza,
sta nella terra degli altri
al di là dei confini,
sta nella terra
di quelli già cittadini.

Il fiume, lo si deve guadare,
“Ma questo è mare”, dice Amal
e rabbiosa forza, e mortifera.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Si cerca Dio nella barca
Dov’è Dio?”, grida Iman.
Qui giustizia se la fanno gli uomini in carne,
se la strappano con l’unghia e coi bambini al collo,
se la vendono per il pane che non hanno.

Gli Dei sono fuggiti,
è un mondo errante
quello dei migranti senza oro.

E io li meno,
a piantar una bandiera a terra.

Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Mi chiamano Caronte,
sulla barca,
perché quest’Acheronte lo guado da sempre,
non l’ho mai lasciato,
non l’ho mai tradito.

Ho visto Speranza morire,
prima che l’occhio abbracciasse la riva.
Ho visto manciate di bocche ridere e spegnersi.
Per una moneta sotto la lingua,
l’unico pedaggio ammesso.

Le ho raccolte una ad una,
senza lapidi e senza fiori,
nel ventre del mare le ho gettate.

Una solitudine eterna mi condanna,
in questo intreccio senza fine.
Per mille lingotti sotto la lingua,
questa vita mi ha scelto.

Mi chiamano Caronte,
il traghettatore,
e questo pezzo di mare,
è il mio Stige.

 






Il Ratto del Mare

 

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Nell’ora-adesso,
tuffarsi
in quella pozza
salmastra

Il Mare.

Uno scirocco spesso
prostra le spine
al suolo

Si strappa il cielo
e come divinità rapace
un braccio d’oro
predone
penetra e rapisce
il Mare

Muore il sole,
è giunta l’ora del sonno
e le tonnare
iniziano
baccanti
la loro pesca rossa

Vento ingrato
che trascini
i tuoi figli alla mattanza

Mostraci il principio
di un’epoca nuova

Nel Vuoto del Giorno

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E d’improvviso
nel vuoto del giorno
calava il tremendo

sul Mare.

Le reti tiravano su uomini-pesci
l‘anima si bucava d’acqua
e la notte scendeva
nella gola del giorno

Con lama di coltello
trafissi l’occhio del buio
e feci sgorgare il sole a fiotti

Nel sudore della notte
bevvi la luce della luna
tra i rintocchi distanti di campana

Miseria è la vita umana!

Ode ai Mari del Sud

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Un vento spesso del sud
mi batte dentro l’ala
rauco ed aspro come il mare

Fischia nelle cavità
delle mie rocce
come in angusti colli di bottiglia

E riverbero intatta
di onde e di sale
nel giorno rosso di Sicilia

Sono della stessa sostanza del sole!

Si staccano
dalle mie braccia
ali di gabbiano

E con la falcata del purosangue
voliamo, tu ed io,
stretti per i sentieri di maggio
mano nella mano

Mare nostro
che c’incolli addosso
il suono pungente dell’aquila
il verde sporco delle agavi alte
il gusto ispido dei capperi selvatici

Quanto amore e quanta resistenza nei nostri passi sicuri!

Finché il dolce ricordo
di una terra lontana
ci cola e ci stringe il petto

Che sempre è di te gonfio
mio caro mare

Il Castello di Reti

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Antiche e profondissime
calavano di maggio
le muraglie del mare
tra Favignana e Levanzo

Con barche lunghe e piene di filo
scendevano i tonnaroti
il castello di reti,

saracinesche mute

Il tradimento dell’uomo che attende
è una rete di corda
che si tramanda antica
che si tesse paziente

Che si fa castello di reti
che si dipana di stanza in stanza
che si compie nel giorno del rito
della mattanza rossa

Le Muraglie del Mare

 

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Rulla
e si rovescia
l’onda sulle muraglie
del Mare

Distanti
le guardiamo cadere,
una dopo l’altra
e infrangersi

Il loro frastuono
mi rimbomba il ventre,
profondo
ci traghetta nel sogno

Dove sostiamo insieme
e per la mano
ai confini del mondo

Inutile
e ridicola
ci appare
la forza di un uomo
di fronte a questo mare